venerdì 2 dicembre 2011

La forza del destino di Marco Vichi

“Non mi ha mai appassionato l’abilità di costruire grandi trame; preferisco la storiella senza trama che, in realtà, contiene la profondità dei personaggi, la visione di un momento storico o, nell’attualità, lo sguardo preciso su una certa realtà”[1].  Questo pensiero di Vichi ci da una chiave di lettura di tutti i suoi lavori, compresa l’ultima avventura del commissario Bordelli, La forza del destino.
La sua narrativa non ha le tinte di un giallo, non ha trame ingarbugliate, indizi e colpi di scena che ti invoglino a sfidare l’autore nell’arrivare alla soluzione dell’intreccio, ma al contrario ha l’aspirazione al racconto di periodi storici, di persone realmente incastonate nelle proprie atmosfere, di rapporti interpersonali, di difficoltà generazionali, insomma, ha la forza del romanzo sull’animo dell’uomo. Non stupore, quindi, ma emozione è quello che se ne trae dalla lettura delle sue pagine.
La brutta storia di Giacomo Pellissari, ragazzino stuprato e ucciso da dei potenti che ancora una volta avevano giocato con la vita di un innocente, e la violenza su Eleonora, che pesava come un macigno sulla coscienza del commissario, sono una scusa per andare a frugare negli abissi dell’uomo e portare a galla un’intera visione del mondo e della vita.
Un  po’ come in Maigret o Montalbano, quello che stupisce è l’idealismo di Bordelli, il suo bisogno di soccorrere l’uomo, sofferente in un mondo ingiusto, la sua aspirazione ad essere Davide con la fionda in mano pronto a colpire il gigante Golia. Il senso di giustizia del commissario non è quello dettato dalle leggi, ma quello del bene e del male nel contesto sociale. Partigiano che ha lottato per liberare l’Italia e restituirgli un’equa giustizia non può che essere deluso dal mondo che lo circonda, non riesce a condannare a livello umano chi delinque per necessità o per fame.
Il commissario Bordelli disegnato da
Werther Dell'Edera in Morto due Volte
«Il mondo era uno schifo, e pensare di guarirlo era un’illusione. Quello che si poteva fare era ricucire i piccoli strappi, anche se l’intero tessuto era marcio. Era solo un modo per non rassegnarsi alla sconfitta, per non soccombere, per non lascare la regola senza eccezione. Una volta tanto gli intoccabili avrebbero pagato per le loro colpe, fino alle estreme conseguenze.»
La piccola Firenze degli anni ‘60, fatta di persone con semplici rapporti, di collettività, messe a dura prova dal dopoguerra e catastrofi come l’alluvione, e di microcriminalità indubbiamente molto diversa da quella che siamo abituati a conoscere nella nostra epoca, danno una mano a Vichi nel suo romanzare e a Bordelli nella sua personale esegesi della giustizia.
Personalmente reputo La forza del destino un bel libro, non al livello di Morte e Firenze, ma comunque una piacevolissima lettura fatta di atmosfere, colori e odori che sa davvero emozionare. Tuttavia non condivido l’eccessiva spinta verso il “bene a qualsiasi costo”, non condivido l’arrivare a farsi giustizia da solo laddove la legge nulla avrebbe potuto, macchiandosi addirittura di tre omicidi (senza contare l’abuso di ufficio, se me lo passate, per l’uso della volante della polizia e il contrabbando di soldi falsi in cambio del silenzio del Botta, complice dell’ultimo omicidio). Soprattutto poi non mi piace l’avere come mandante, o meglio come complice, il destino, capace di giustificare le azioni sgombrando il campo dalle difficoltà nel compierle.
In sostanza l’ho un po’ con Bordelli perché capisco il suo lasciare il ruolo di commissario, «Quando non si rispettano le regole del gioco, è bene smettere di giocare.», ma non digerisco proprio il suo svilire il senso di lealtà e giustizia cui ci aveva abituato, scendendo al livello così basso, quello dei tre assassini, sebbene animato dai più nobili intenti. La forza del destino avrebbe potuto offrire vendette migliori e senza macchiare Bordelli di azioni così infami. Non siamo in guerra, non può Vichi paragonarlo a un partigiano che può evitare un massacro di bambini sparando a un nazista, facendosi addirittura dare l’avvallo da un uomo di chiesa, padre Lenti (pag. 281), mentre cerca di rimproverargli che «L’unica giustizia è quella di Dio, a cui l’uomo non può sostituirsi.».
Ringrazio tantissimo Vichi per avermi di nuovo regalato quelle atmosfere semplici ma goderecce come le passeggiate nei boschi, le cene con gli amici, libro, camino e bicchiere di vino. Ancora, lo ringrazio per le ricette culinarie del Botta[2], ma soprattutto per i consigli letterari che per la  prima volta ci ha dato, da Un eroe del nostro tempo di Lermontov a Memorie dal sottosuolo e L’eterno marito di Dostoevskij.
Un paio di curiosità trovate nel libro. Se vi chiedo chi è Lorenzo degl’Innocenti? «.. si mi sembra… dai, si quello… cacchio, ho appena finito il libro, dovrei ricordare… ah! Ecco! Il vigile notturno che da l’allarme per l’omicidio dell’Avv. Beccaroni!»… giusto, semplificando non poco il lavoro di Bordelli, ma credo sia anche un tributo di Vichi a quel Lorenzo degl’Innocenti, voce di Bordelli nell’audiolibro ed in tutte le sue “apparizioni pubbliche”. La seconda nota, un po’ meno goliardica, si trova al cimitero di Ponte agli Stolli dove Vichi ci riporta l’incisione di Norina Macelloni, morta il 30 febbraio 1919.
Visto il finale del libro adesso non resta che aspettare la prossima avventura del commissario Bordelli, magari alle prese con il rivoluzionario sessantotto approfondendo il tema delle incomprensioni generazionali già accennato nel Il nuovo venuto. Comunque, alla presentazione del libro, Vichi ed il suo editore hanno parlato dei progetti futuri, come l’uscita di un nuovo lavoro, senza Bordelli, dal titolo “La vendetta”, e di una antologia sulla follia.
Staremo a vedere… meglio staremo a leggere!... anche perché, nonostante il fantasticare dei sui fan sul vederlo in TV[3], non credo che questo romanzo sia cinematografico.






[1] Intervista a Vichi riportata nella tesi di laurea di Laura Fresina, “Il giallo in Toscana: autori, protagonisti, paesaggi”.
[2] Sta diventando famosa la Bistecca del Botta, col latte e il finocchio: “Metti le bistecche di maiale (meglio se non troppo alte) in una padella con un po' d'acqua e falle cuocere bene da tutti e due i lati, finché l'acqua non è evaporata quasi del tutto. Aggiungi un bicchiere di salsa di pomodoro e rigira più volte le bistecche. Poi aggiungi un bicchiere di latte e una manciata di semi di finocchio, e quando la salsa comincia a bollire abbassa il fuoco e fai ritirare il liquido senza coperchio, fino a che la salsa non diventa densa al punto giusto. Poi togli la padella dal fornello, coprila con un coperchio e lasciala in pace per un paio di minuti."
[3] Un cast che condivido con gli amici del gruppo Il Commissario Bordelli su facebook è:
Bordelli: Ennio Fantastichini (me ne assumo la paternità!), Andrea Giordana, Favino
Rosa: Stefania Sandrelli
Diotivede: Paolo Poli
Botta: Alessandro Haber
Dante: Gigi Proietti

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