martedì 23 novembre 2010

BISCE D'ACQUA



Storia di ordinaria sfollia

(Tutta opera di fantasia, tranne il dramma!)

La suoneria del telefono interrompe bruscamente la mia ricerca gastronomica, tra un Rixo de Grumoło dełe Badese e un Bacalà. Rispondo senza staccare gli occhi dal monitor.
«Ingegnere?». Avere una nuova segretaria mi disturba quasi come il trasferimento.
«Mi dica».
«Non mi dia del lei, un po’ di confidenza, sono la sua segretaria!».
«Ma non è una questione di ruoli, Antonella, è educazione».
«Ma anch’io sono educata, eppure mi ha chiesto di darle del tu…».
«Si, Antonella…» la interrompo «troppa trama. Cosa voleva?».
«E’ arrivato il corriere con le forniture per l’ufficio».
«Fai portare tutto in archivio. Scendo subito, grazie».
Il sogno di un nuovo ufficio è quasi realizzato, finalmente. Dopo un mese di via vai di muratori, elettricisti, idraulici e arredatori, l’opera magna di ristrutturare un cento metri quadri è quasi finita. Manca solo un po’ di calore, un po’ di cancelleria disordinata e qualche foglio imbrattato con progetti in progress.
Passo davanti alla porta del mio nuovo collaboratore, un giovane geometra, Simone, un tipo un po’ strano, tanto che il primo giorno si è presentato con un tappetino per il mouse con lo stemma della Lega Nord, ma che promette bene in termini di grafica ed estetica.
Lo invito con un cenno della testa a scendere con me per dare una mano a portare dentro gli scatoloni.
Faccio in tempo a stringere la mano al padroncino che mi squilla il cellulare.
«Babbo».
«Oh Michele, come te la passi?».
«Bene, è venerdì… anche se non si vede il sole da un pezzo!».
«Te l’avevo detto, vai a vivere al nord, corri dietro all’amore, a me di solito erano le donne mi correvano dietro!».
Sorvolo la facile ironia sulla mia scelta e incalzo «Perché? Fammi capire, lì a Firenze non piove?».
«Ni, fa culaia, però ancora regge!».
«Qui se continua a piovere» gli dico osservando il cielo dallo sporto «ci va di fuori anche il fiume! ».
«Stai tranquillo, come diceva Staples Lewis “L'esperienza è una maestra severa, ma impari. Mio Dio, se impari!”».
«Ma sei veramente da bosco e da riviera! Mischi il fiorentino con le frasi colte».
«Te lo ricordi il ‘66, vero? Quando stavamo in Gavinana…».
«Oh babbo, sono nato nel ’74».
«Ah già, ma con tutte le volte che te l’abbiamo raccontato... sai quanti sistemi ci sono adesso per prevenire, monitorare, anni di ingegneria fluviale. Ti devo salutare, è arrivato il rabdomante. Ci sentiamo nei prossimi giorni».
Rimango un po’ di stucco, un ingegnere, vecchio stampo come lui, che si affida al rabdomante per fare un pozzo nella casa in campagna.
«Questo è l’ultimo scatolone!» pone l’accento Simone con il sorrisino.
«Beh, è quello del caffè, vero?».
«Credo, si».
«… e allora portalo su, alla macchinetta, che ve lo offro!».
Passiamo un’oretta buona a chiacchiera, Simone e Antonella cercano di alleviare la mia nostalgia di casa, enfatizzando Vicenza, i palazzi del Palladio, la sua gente, «… i xe famusi par èsare soranomenà "Magnagati"!» fa notare il padroncino prima di salutarci, strappandomi una risata, ma soprattutto sottolineano la bellezza della strada in cui ho avuto la fortuna di trovare l’ufficio, contrà XX Settembre, con le sue cose tipiche, l’Offelleria storica, l’ottimo Ristorante, il Pub di moda e così via.
«Via ragazzi, andiamo a casa, mettiamo a posto Lunedì. Rilassatevi nel week end che avrò bisogno di schiene riposate. Ah, dimenticavo, Antonella, dai un colpo di telefono a Spartak, doveva venire a finire oggi, digli che lunedì mattina lo voglio qui».
«Lo sai il prefisso dell’Albania?» sfotte Simone.
«No, ma perché? Vive qua vicino… non credo….» mi guarda un po’ confusa Antonella.
«Sta scherzando» la rassicuro «anche perché è geloso, Spartak è un imprenditore, lui per adesso un libero professionista sottopagato! Il numero è nell’agenda sotto la “e” di elettricista».
Domenica mattina mi sveglio con uno strano senso di angoscia. Penso ad un po’ di nostalgia, penso alla tristezza che di solito mi genera il mese di Novembre, con la sua pioggia e il suo grigiore. Già, la pioggia! Ma non sarà un po’ troppa mi chiedo.
Ascolto la radio locale, guardo i bollettini on line ma sono tutti rassicuranti, “non si registrano criticità sul territorio regionale e, al più, il possibile verificarsi di forti rovesci può creare disagi al sistema fognario e lungo la rete idrografica”.
Ma il lunedì mattina, appena accesa la radio, compagna abituale della mia uscita dalle braccia di Morfeo, capisco e realizzo la mia angoscia. Il bollettino on line segnala le possibili esondazioni a Vicenza, ma sulle radio locali rimbalza la notizia che l’acqua è già arrivata in città. Apprendo del preallarme delle 21 di Domenica, quando il Bacchiglione raggiunge il livello di 4 metri. Alle 22:12 è a quota 4,70 metri: scatta l’allarme. Alle 4:15 viene chiusa la strada dei ponti di Debba, alle 4:39 viene segnalato che viale Diaz è allagato e alle 4:59 lo è anche viale Ferrarin, area storicamente ritenuta non esondabile. Alle 6:40 vengono chiuse contrà Torretti e Vittorio Veneto che cominciano ad allagarsi e dove vengono fatti evacuare i locali della Croce Rossa. Di lì a poco crolla il parapetto di via Rumor, dando così sfogo al fiume che ha via libera per arrivare ad allagare piazza XX Settembre.[i]
Incredibile, in così poco tempo dal preallarme, il fiume ha sorpassato il livello di 5,70 metri esondando, travolgendo tutto, da Vivaro a Vicenza, passando per Cresole e Rettorgole.
Ancora non realizzo la portata della catastrofe, penso solo al mio ufficio, a due passi dal Ponte degli Angeli, al piano terra, appena finito, sicuramente allagato, all’archivio, alle forniture arrivate venerdì già da buttare. Mi pesa! Troppo. Avevo appena finito. Adesso devo rincominciare, mi sento devastato.
Poi, con il passare del tempo, il mio scoramento cresce, capisco. Capisco che il mio dramma personale è poca cosa. E’ una vera tragedia, si parla di dispersi, sfollati, danni alle case, ai negozi, alle officine, ai laboratori, in settantadue ore è stata messa in ginocchio l'intera economia regionale.
Decido di reagire. Appena il tempo lo permette cerco di raggiungere l’ufficio e di nuovo capisco. Capisco la dignità dimostrata dai vicentini colpiti dall'alluvione, centinaia le persone in fila nei ritrovi organizzati dalla Protezione Civile per una pettorina, stivali e guanti, per affrontare tutti insieme la disperazione e collaborare alle operazioni di pulizia. Mi sento una merda.
Provo a contattare Simone, Antonella, Spartak, ma niente, nessuno è raggiungibile.
Arrivo in contrà XX Settembre, è desolante. Intenso odore di fogna, fango, cumuli di oggetti, scaffali, libri, vestiti, c’è di tutto. Incrocio lo sguardo del proprietario del bar pasticceria, che mi saluta con un gesto, ma senza smorfia, come fosse distaccato da tutto, come se stesse soltanto aspettando di svegliarsi da quell’incubo.
La prima impresa è provare ad aprire la porta dell’ufficio. Il parquet è saltato, costringendomi a fare acrobazie per entrare e dare un’occhiata ai locali. Il segno del fango arriva giusto a sommergere le Bisce d’acqua, la mia stampa preferita di Klimt appesa in sala riunioni. Che ironia, vero?
«Ingegnere!» mi saluta Spartak dallo spiraglio di porta aperta. «Vuole una mano? Sono con degli amici… abbiamo appena finito un turno, ma per lei questo e altro. Sempre se non sporchiamo entrando con gli stivali melmosi!».
«Fai poco il simpatico e ricordati che devo ancora pagarti il saldo del lavoro… vediamo se lo faccio passare come beneficenza! Tanto più che manca pure la corrente oggi!». Mi sorride ed entrano.
Con i tre albanesi al lavoro, tutto sembra più semplice. Simone, che ha visto la chiamata, ci raggiunge e un paio d’ore riportiamo un po’ di ordine e pulizia nell’archivio e nel ricevimento.
«Ci vorrebbe un caffè, un tè, qualcosa di caldo, ho l’umido nelle ossa» borbotto tra me e me, ma vedo gli occhi di Spartak illuminarsi. Sale le scale a tre alla volta, forse sospinto dal mio urlo «dai, ma lo fai apposta? Su era rimasto pulito!». Silenzio.
La mia attenzione viene però attirata dalla strada, niente di particolare, viva, di una vita artificiale, ma quasi normale. Squadre di volontari di tutte le età, dal ragazzino al pensionato, Pompieri, Protezione Civile, tutti ad aiutare chiunque ne abbia bisogno. Addirittura c’è uno strillone davanti al negozio di famiglia «Vendiamo tutto a metà prezzo!».
Mi ridesta dai pensieri Spartak che esulta «Sono un genio!».
«Pure!» enfatizza.
«Testa secca, ho fatto funzionare la macchina del caffè con il gruppo di continuità!».
«… e nel mio ufficio c’è lo scatolone con le cialde! L’ho portato su venerdì…» replica ancora incredulo Simone.
A quel punto ignoro i festeggiamenti, esco in strada, raggiungo il proprietario del bar pasticceria e gli chiedo se gli va un caffè. Non ho ancora finito di parlare che già mi pento di come suona la domanda. Si gira, serio, probabilmente non disposto alle prese in giro, ma mi correggo subito.
«Siamo riusciti a far ripartire il distributore automatico, se volete fare cinque minuti di pausa, un caffè caldo magari aiuta».
«Volentieri,» risponde «sono in crisi di astinenza. Chiamo il mio vecchio che di sicuro gradisce».
Ci sistemiamo in sala riunioni, anzi, meglio, la inauguriamo, tanto che scatto una foto con il telefonino accendendo qualche sorriso.
Il caffè non è quello del bar ma ci dà una mano a rilassare i nervi.
«Come mai ha scelto Vicenza per i suoi affari?» mi incalza il proprietario del bar «ma soprattutto di cosa si occupa? Non ha ancora messo nemmeno una targa».
«Vero, non ho ancora capito cosa scriverci…».
«E’ importante pensarci bene,» mi interrompe il vecchio «guardate cosa c’è scritto in quella!» indicando una iscrizione commemorativa sull’altro lato della strada. «”Contrà venti Settembre, a ricordo della conquista di Roma. 1870”, non solo l’abbiamo strappata i Papi, ma l’abbiamo fatta anche capitale. Adesso non si ricorda nemmeno di noi! Solo parole inutili…»
«Nemmeno ci governasse Cetto La Qualunque…» spara il proprietario del bar sorridendo, interrompendo il padre, forse per non perdere l’atmosfera leggera che si era creata.
«Chi?» domanda il padre stupito, e Simone gesticolando spiega «Il politico calabrese corrotto di Antonio Albanese, quello di “I have no dream, ma mi piace ‘u pilu”» e parte una risata generale, interrotta dallo squillo del mio telefonino.
«Oi, babbo, eccomi» rispondo.
«Sei impegnato? Volevo dirti che abbiamo trovato l’acqua, a sessantacinque metri. Il rabdomante aveva detto trentacinque, mi era venuta voglia di legargliele al collo quelle bacchettine magiche…».
«Aspetta, aspetta, ripeti che non capito bene» lo interrompo mettendo il viva voce nel silenzio dei riuniti.
«Ti dicevo che abbiamo trovato l’acqua a…» e riparte una risata fragorosa generale.
«Michele, ma cos’è questo casino?».
«Niente, solo che se venivi a trovarmi, te la davamo noi l’acqua. Pensa che nel mio ufficio è arrivata a due metri!».
«No, non ci posso credere. Avevo sentito il Tg, ma non pensavo… Ma stai bene?» chiede preoccupato.
«Tranquillo, tutto a posto. Ti chiamo stasera con calma.».
Ecco. Credo che un domani, quando dell’alluvione non resterà che una riga sporca sul muro, questa riunione sui generis la ricorderò con piacere.
Adesso mi sembra solo un attimo strappato alla disperazione di questa catastrofe.


[i] La cronologia degli eventi è tratta dal sito del Comune di Vicenza.


giovedì 11 novembre 2010

PENSIERI SULLO SPOT DELLA "DOLCE MORTE"

“La vita è questione di scelte… Ho scelto di sposare Tina, di avere due bellissimi figli … Quello che non ho scelto è di essere un malato terminale. Non ho scelto di morire di fame perché mangiare è come ingoiare lamette per la barba e certamente non ho scelto di vedere la mia famiglia vivere tutto questo con me. Ho fatto la mia scelta finale. Ho solo bisogno che il governo mi ascolti.”
Questo il testo dello spot per l’eutanasia realizzato dal gruppo “The Works” di Sidney per l’Associazione Exit international e proposto alle televisioni di Australia e Canada. In Australia, l’autorità che vigila sulle televisioni (la Free TV Australia’s commercial Advice) ha nelle scorse settimane bloccato la messa in onda del video.
La versione italiana, curata dall’Associazione Luca Coscioni e dal Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito, sarà trasmessa da Telelombardia, prima televisione in Italia, anche se la messa in onda è subordinata al parere dell’Authority per le telecomunicazioni.
La mia intenzione non è quella di affrontare il tema dell’eutanasia, forse non ne sarei in grado e, più che un post, servirebbero un paio di tomi, ma lo spot in se per se.
Il Codice penale sanziona con chiarezza l’«omicidio del consenziente», la fattispecie sotto la quale ricadono eutanasia e suicidio assistito. Permettere che si pubblicizzi un reato attraverso i mezzi di comunicazione dovrebbe essere inammissibile ed è quindi lecito attendersi che l’Autorità garante delle comunicazioni non dia il via libera alla messe in onda. Occorre anche precisare che nello spot si chiede ascolto al Governo, ma sarebbe più giusto riferirsi al Parlamento, vista la trasversalità di opinione dimostrata dalla politica su questo argomento.
Ma lo scopo dello spot è proprio quello di cambiare le regole, quello di renderci padroni di poter fare una scelta del genere (ovviamente se in quella situazione, nel pieno delle proprie facoltà mentali, se ne è capaci), quello che non sia lo Stato o il Vaticano ad imporcela (a noi ed alla nostra famiglia). Non invita a praticare di nascosto l’eutanasia, a compiere un reato: lancia una campagna pubblica per cambiare una legge. Si rischia di confondere il divieto all’azione (l’eutanasia) con il divieto a chiedere una modifica legislativa che renda legale l’azione.
Sono anche dell’opinione che con uno spot del genere sia controproducente, tende a sostituire l’emotività al ragionamento, immagini forti come “ingoiare lamette per la barba” non aiutano un dibattito così delicato. E poi insomma questi temi richiederebbero “una trattazione che non sia affidata a una forma che è quasi come la pubblicità di un prodotto qualsiasi” (Cit. Monsignor Gianfranco Ravasi).
E’ intervenuto sull’argomento anche Umberto Veronesi, che ha dichiarato che ormai l’eutanasia è un argomento che non si può più ignorare, “è un problema dibattuto e su cui non si possono avere posizioni definitive. Ma non si può ignorare che quello che hanno già fatto Olanda, Belgio e Lussemburgo, o Germania e Scandinavia dove è stata depenalizzata, cosa che sta per accadere anche in Spagna”.
Non si può neanche ignorare e tollerare che, come ha aggiunto sempre Veronesi a margine di un seminario, "succede che i pazienti la chiedono e spesso viene praticata in modo sotterraneo e nascosto perché la legge la vieta".
Il rapporto Eurispes 2010 evidenzia come il 67% degli italiani sia favorevole all’eutanasia.
Forse è l’ora che ci si rifletta davvero su questo argomento e che ognuno faccia i conti con la propria coscienza e la propria etica, magari a mente fredda, dopo che casi come quello di Welby si sono sedimentati e lontano da bombardamenti mediatici.

martedì 9 novembre 2010

LO SPLENDORE DEI DISCORSI, GIUSEPPE ALOE

In seconda di copertina si legge “In questo noir atipico, romanzo-monologo a orologeria, Giuseppe Aloe, con scrittura raffinata e potente, dà voce a un personaggio inedito che lascia turbati. Per il senso contemplativo e oscuro del mondo, per lo splendore-terrore dei suoi discorsi”. Nessuna presentazione sarebbe più calzante.
Il romanzo si apre con quello che sembra un elogio, più che allo splendore dei discorsi, alla superficialità, all’eccessivo desiderio di attuare una propria perfetta immagine, concetto comunemente racchiuso nel termine vanità. Questo desiderio, questa smania è coma una miccia che accende ira e crudeltà.
Le persone normali cercano di controllare questi eccessi, li custodiscono nel proprio io, ma restano come tizzoni sotto una coltre di cenere, come smanie soffocate da una normalità apparente. Si diviene criminali non per brama di potere, per denaro o per erotismo, ma per lo sfogo di queste smanie. Il resto semmai non è altro che una conseguenza.
Queste riflessioni danno ad Aloe la scusa per sviluppare, su una trama narrativa, oserei dire, di flebile tessitura e surreale, una meditazione sulla vita, sul male e soprattutto sul destino.
L’ingegnere, protagonista del romanzo, che si divide tra lavoro e una famiglia come tante, “tendenzialmente infelice”, con rapporti di “misurata crudeltà” capaci di scoppiare in improvvise armonie in grado di riempire l’esistenza e il cuore, si trova a essere protagonista di un male ritenuto intollerabile ed ingiusto sopra ogni possibilità di intendere, la morte di una figlia in un banale incidente sull’altalena.
Questo dramma spazza via tutto, scatena sofferenza e rancore, sposta il protagonista su un altro piano di osservazione della vita, quello di chi è in debito con il male, lo rende disponibile alla violenza come risposta a quel male insensato, senza più alcun tipo di pietà. Avvicinato da un’organizzazione criminale, diventa sicario, il migliore, senza nulla da perdere e armato di tutta la disperazione possibile.
Sullo sfondo dei numerosi delitti, l’ingegnere ed Aloe approfondiscono il pensiero filosofico e le riflessioni sul mondo, con riferimenti espliciti a Kafka. Ma arriva il colpo di scena che, come in ogni buon romanzo, lascia di stucco il lettore. In questo caso lo stupore è sincero, il colpo di scena non è quello tipico di una narrazione di un noir, ma è a livello filosofico.
L’ingegnere conoscerà un'anziana donna e un sosia di Kafka che gli faranno capire il senso della vita, gli faranno scoprire lo “splendore” dei discorsi e della vita anche nei suoi aspetti meno eccezionali.
A me è piaciuto, anche se non avrei mai pensato di leggere un libro dedicato alla fragilità dell’esistenza umana “mascherato” da noir.

Giulio Perrone Editore S.r.l., 2010, 251 p, € 15,00