lunedì 3 gennaio 2011

Chiudere con un sorriso

(Tutta opera di fantasia. Dopo essermi trasferito a Vicenza per amore -Bisce d'acqua-, essere stato lasciato -Un addio-, adesso non mi resta che superarla!)

Chiudere con un sorriso, si, lo so, sembra un’antitesi. Da sempre il sorriso manifesta serenità, benessere e apertura nei confronti di un'altra persona.
Per quanto mi riguarda è la distanza più corta tra due persone.
Sarà la serata, sarà che sono davanti al camino a leggere un libro, sarà che mi sono sorpreso a guardare fuori dalle ampie vetrate del salone. Che problema c’è? Nessuno. Fosse giorno, il mio pensiero avrebbe seguito l’andamento delle colline con i ricordi o magari il mio sguardo sarebbe stato attirato dal movimento di qualche animale o da qualche gioco di colori. Ma è notte, una di quelle buie, senza luna, e l’unica cosa che si vede dalle vetrate è il riflesso della mia immagine.
Introspezione. Ancora, si, ma meno fastidiosa del solito. Sarà che ho chiuso con un sorriso.
Nei mille volteggi che il mio inconscio mi fa fare ce n’è uno, soprattutto uno, il cui ricordo ancora mi fa sentire il vuoto nello stomaco, come sulle montagne russe o sull’altalena da bambino.
L’ultima volta che l’ho vista. A cena, a casa sua. Una di quelle serate strane in cui ogni cosa sembra avere lo stesso significato. La serata in cui, seguendo quelle maledette percezioni insensibili, ho cercato di relegare a normale, a quotidiano, qualcosa che normale proprio non era. “Ma perché?” ancora mi chiedo.
Una sola risposta ferma quell’altalena. La paura. Quella paura che si materializza come una nebbia fitta, nebulizzata per l’occasione dal peggior scenografo che conosco, capace di confonderti, di farti perdere,  che ti fa fare quattro volte il giro dell’isolato per riportarti al punto di partenza, senza riuscire ad arrivare veramente a lei.
Quando sono uscito da quella casa ho salutato con un sorriso, certo, ma che di sorriso aveva solo la mimica facciale. Mi devastava la consapevolezza di tutto quello che con lei avrei voluto fare, da ascoltarla a viverla nella sua vita, da sentirla ridere a goderla fino all’ultimo spasmo, da farla incazzare a guardarla dormire.
I giorni passano, il desiderio cresce, la consapevolezza opprime, fino a quando un giorno, come quando esci di casa e ti accorgi che l’inverno è finito, la nebbia si dirada, lo scenografo licenziato, e punto dritto a quello che so di volere . Ma lei non c’è più. Si è stancata della mia paura e, di più, ha capito che una persona con quelle paure non fa per  lei.
“L'errore annulla qualsiasi passato nell'istante in cui arriva a bruciarti qualsiasi futuro. L'errore azzera il tempo, qualsiasi tempo.”[1]
Ho provato a restare in piedi, ma “è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo”[2]. Ho provato a comunicare in mille modi, tutto inutile, non c’è più nessuno che mi vuole ascoltare. Mi sono sempre scontrato contro la sua consapevolezza, continuando solo ad aumentare il distacco e l’acredine da insistenza. Alla fine ho capito, inutile parlare, spiegare, le parole non hanno più lo stesso significato, da un lato l’urgenza di condividerle, dall’altro la repulsione che le fa volare via.
Ma adesso sono sereno, almeno sono riuscito a chiudere con un sorriso, per me importante, per lei magari superfluo. Questo mi aiuta a perdonarmi, ricompensato dal sorriso e dall’averlo vissuto, aiuta a non dover più combattere quel ricordo.
Poi il crepitio del fuoco mi riporta al mio qui ed ora senza troppo sforzo. Riparto con la lettura del libro, impegnandomi a vivere il romanzo di qualche personaggio inventato anziché il mio.


[1] Baricco, Barnum
[2] Dalla, Cara