Storia di ordinaria sfollia
(Tutta opera di fantasia, tranne il dramma!)
La suoneria del telefono interrompe bruscamente la mia ricerca gastronomica, tra un Rixo de Grumoło dełe Badese e un Bacalà. Rispondo senza staccare gli occhi dal monitor.
«Ingegnere?». Avere una nuova segretaria mi disturba quasi come il trasferimento.
«Non mi dia del lei, un po’ di confidenza, sono la sua segretaria!».
«Ma non è una questione di ruoli, Antonella, è educazione».
«Ma anch’io sono educata, eppure mi ha chiesto di darle del tu…».
«Si, Antonella…» la interrompo «troppa trama. Cosa voleva?».
«E’ arrivato il corriere con le forniture per l’ufficio».
«Fai portare tutto in archivio. Scendo subito, grazie».
Il sogno di un nuovo ufficio è quasi realizzato, finalmente. Dopo un mese di via vai di muratori, elettricisti, idraulici e arredatori, l’opera magna di ristrutturare un cento metri quadri è quasi finita. Manca solo un po’ di calore, un po’ di cancelleria disordinata e qualche foglio imbrattato con progetti in progress.
Passo davanti alla porta del mio nuovo collaboratore, un giovane geometra, Simone, un tipo un po’ strano, tanto che il primo giorno si è presentato con un tappetino per il mouse con lo stemma della Lega Nord, ma che promette bene in termini di grafica ed estetica.
Lo invito con un cenno della testa a scendere con me per dare una mano a portare dentro gli scatoloni.
Faccio in tempo a stringere la mano al padroncino che mi squilla il cellulare.
«Oh Michele, come te la passi?».
«Bene, è venerdì… anche se non si vede il sole da un pezzo!».
«Te l’avevo detto, vai a vivere al nord, corri dietro all’amore, a me di solito erano le donne mi correvano dietro!».
Sorvolo la facile ironia sulla mia scelta e incalzo «Perché? Fammi capire, lì a Firenze non piove?».
«Ni, fa culaia, però ancora regge!».
«Qui se continua a piovere» gli dico osservando il cielo dallo sporto «ci va di fuori anche il fiume! ».
«Stai tranquillo, come diceva Staples Lewis “L'esperienza è una maestra severa, ma impari. Mio Dio, se impari!”».
«Ma sei veramente da bosco e da riviera! Mischi il fiorentino con le frasi colte».
«Te lo ricordi il ‘66, vero? Quando stavamo in Gavinana…».
«Oh babbo, sono nato nel ’74».
«Ah già, ma con tutte le volte che te l’abbiamo raccontato... sai quanti sistemi ci sono adesso per prevenire, monitorare, anni di ingegneria fluviale. Ti devo salutare, è arrivato il rabdomante. Ci sentiamo nei prossimi giorni».
Rimango un po’ di stucco, un ingegnere, vecchio stampo come lui, che si affida al rabdomante per fare un pozzo nella casa in campagna.
«Questo è l’ultimo scatolone!» pone l’accento Simone con il sorrisino.
«Beh, è quello del caffè, vero?».
«… e allora portalo su, alla macchinetta, che ve lo offro!».
Passiamo un’oretta buona a chiacchiera, Simone e Antonella cercano di alleviare la mia nostalgia di casa, enfatizzando Vicenza, i palazzi del Palladio, la sua gente, «… i xe famusi par èsare soranomenà "Magnagati"!» fa notare il padroncino prima di salutarci, strappandomi una risata, ma soprattutto sottolineano la bellezza della strada in cui ho avuto la fortuna di trovare l’ufficio, contrà XX Settembre, con le sue cose tipiche, l’Offelleria storica, l’ottimo Ristorante, il Pub di moda e così via.
«Via ragazzi, andiamo a casa, mettiamo a posto Lunedì. Rilassatevi nel week end che avrò bisogno di schiene riposate. Ah, dimenticavo, Antonella, dai un colpo di telefono a Spartak, doveva venire a finire oggi, digli che lunedì mattina lo voglio qui».
«Lo sai il prefisso dell’Albania?» sfotte Simone.
«No, ma perché? Vive qua vicino… non credo….» mi guarda un po’ confusa Antonella.
«Sta scherzando» la rassicuro «anche perché è geloso, Spartak è un imprenditore, lui per adesso un libero professionista sottopagato! Il numero è nell’agenda sotto la “e” di elettricista».
Domenica mattina mi sveglio con uno strano senso di angoscia. Penso ad un po’ di nostalgia, penso alla tristezza che di solito mi genera il mese di Novembre, con la sua pioggia e il suo grigiore. Già, la pioggia! Ma non sarà un po’ troppa mi chiedo.
Ascolto la radio locale, guardo i bollettini on line ma sono tutti rassicuranti, “non si registrano criticità sul territorio regionale e, al più, il possibile verificarsi di forti rovesci può creare disagi al sistema fognario e lungo la rete idrografica”.
Ma il lunedì mattina, appena accesa la radio, compagna abituale della mia uscita dalle braccia di Morfeo, capisco e realizzo la mia angoscia. Il bollettino on line segnala le possibili esondazioni a Vicenza, ma sulle radio locali rimbalza la notizia che l’acqua è già arrivata in città. Apprendo del preallarme delle 21 di Domenica, quando il Bacchiglione raggiunge il livello di 4 metri. Alle 22:12 è a quota 4,70 metri: scatta l’allarme. Alle 4:15 viene chiusa la strada dei ponti di Debba, alle 4:39 viene segnalato che viale Diaz è allagato e alle 4:59 lo è anche viale Ferrarin, area storicamente ritenuta non esondabile. Alle 6:40 vengono chiuse contrà Torretti e Vittorio Veneto che cominciano ad allagarsi e dove vengono fatti evacuare i locali della Croce Rossa. Di lì a poco crolla il parapetto di via Rumor, dando così sfogo al fiume che ha via libera per arrivare ad allagare piazza XX Settembre.[i] Incredibile, in così poco tempo dal preallarme, il fiume ha sorpassato il livello di 5,70 metri esondando, travolgendo tutto, da Vivaro a Vicenza, passando per Cresole e Rettorgole.
Ancora non realizzo la portata della catastrofe, penso solo al mio ufficio, a due passi dal Ponte degli Angeli, al piano terra, appena finito, sicuramente allagato, all’archivio, alle forniture arrivate venerdì già da buttare. Mi pesa! Troppo. Avevo appena finito. Adesso devo rincominciare, mi sento devastato.
Poi, con il passare del tempo, il mio scoramento cresce, capisco. Capisco che il mio dramma personale è poca cosa. E’ una vera tragedia, si parla di dispersi, sfollati, danni alle case, ai negozi, alle officine, ai laboratori, in settantadue ore è stata messa in ginocchio l'intera economia regionale.
Decido di reagire. Appena il tempo lo permette cerco di raggiungere l’ufficio e di nuovo capisco. Capisco la dignità dimostrata dai vicentini colpiti dall'alluvione, centinaia le persone in fila nei ritrovi organizzati dalla Protezione Civile per una pettorina, stivali e guanti, per affrontare tutti insieme la disperazione e collaborare alle operazioni di pulizia. Mi sento una merda. Provo a contattare Simone, Antonella, Spartak, ma niente, nessuno è raggiungibile.
Arrivo in contrà XX Settembre, è desolante. Intenso odore di fogna, fango, cumuli di oggetti, scaffali, libri, vestiti, c’è di tutto. Incrocio lo sguardo del proprietario del bar pasticceria, che mi saluta con un gesto, ma senza smorfia, come fosse distaccato da tutto, come se stesse soltanto aspettando di svegliarsi da quell’incubo.
La prima impresa è provare ad aprire la porta dell’ufficio. Il parquet è saltato, costringendomi a fare acrobazie per entrare e dare un’occhiata ai locali. Il segno del fango arriva giusto a sommergere le Bisce d’acqua, la mia stampa preferita di Klimt appesa in sala riunioni. Che ironia, vero?
«Ingegnere!» mi saluta Spartak dallo spiraglio di porta aperta. «Vuole una mano? Sono con degli amici… abbiamo appena finito un turno, ma per lei questo e altro. Sempre se non sporchiamo entrando con gli stivali melmosi!».
«Fai poco il simpatico e ricordati che devo ancora pagarti il saldo del lavoro… vediamo se lo faccio passare come beneficenza! Tanto più che manca pure la corrente oggi!». Mi sorride ed entrano.
Con i tre albanesi al lavoro, tutto sembra più semplice. Simone, che ha visto la chiamata, ci raggiunge e un paio d’ore riportiamo un po’ di ordine e pulizia nell’archivio e nel ricevimento.
«Ci vorrebbe un caffè, un tè, qualcosa di caldo, ho l’umido nelle ossa» borbotto tra me e me, ma vedo gli occhi di Spartak illuminarsi. Sale le scale a tre alla volta, forse sospinto dal mio urlo «dai, ma lo fai apposta? Su era rimasto pulito!». Silenzio.
La mia attenzione viene però attirata dalla strada, niente di particolare, viva, di una vita artificiale, ma quasi normale. Squadre di volontari di tutte le età, dal ragazzino al pensionato, Pompieri, Protezione Civile, tutti ad aiutare chiunque ne abbia bisogno. Addirittura c’è uno strillone davanti al negozio di famiglia «Vendiamo tutto a metà prezzo!».
Mi ridesta dai pensieri Spartak che esulta «Sono un genio!».
«Pure!» enfatizza.
«Testa secca, ho fatto funzionare la macchina del caffè con il gruppo di continuità!».
«… e nel mio ufficio c’è lo scatolone con le cialde! L’ho portato su venerdì…» replica ancora incredulo Simone.
A quel punto ignoro i festeggiamenti, esco in strada, raggiungo il proprietario del bar pasticceria e gli chiedo se gli va un caffè. Non ho ancora finito di parlare che già mi pento di come suona la domanda. Si gira, serio, probabilmente non disposto alle prese in giro, ma mi correggo subito.
«Siamo riusciti a far ripartire il distributore automatico, se volete fare cinque minuti di pausa, un caffè caldo magari aiuta».
«Volentieri,» risponde «sono in crisi di astinenza. Chiamo il mio vecchio che di sicuro gradisce».
Ci sistemiamo in sala riunioni, anzi, meglio, la inauguriamo, tanto che scatto una foto con il telefonino accendendo qualche sorriso.
Il caffè non è quello del bar ma ci dà una mano a rilassare i nervi.
«Come mai ha scelto Vicenza per i suoi affari?» mi incalza il proprietario del bar «ma soprattutto di cosa si occupa? Non ha ancora messo nemmeno una targa».
«Vero, non ho ancora capito cosa scriverci…».
«E’ importante pensarci bene,» mi interrompe il vecchio «guardate cosa c’è scritto in quella!» indicando una iscrizione commemorativa sull’altro lato della strada. «”Contrà venti Settembre, a ricordo della conquista di Roma. 1870”, non solo l’abbiamo strappata i Papi, ma l’abbiamo fatta anche capitale. Adesso non si ricorda nemmeno di noi! Solo parole inutili…»
«Nemmeno ci governasse Cetto La Qualunque…» spara il proprietario del bar sorridendo, interrompendo il padre, forse per non perdere l’atmosfera leggera che si era creata.
«Chi?» domanda il padre stupito, e Simone gesticolando spiega «Il politico calabrese corrotto di Antonio Albanese, quello di “I have no dream, ma mi piace ‘u pilu”» e parte una risata generale, interrotta dallo squillo del mio telefonino.
«Oi, babbo, eccomi» rispondo.
«Sei impegnato? Volevo dirti che abbiamo trovato l’acqua, a sessantacinque metri. Il rabdomante aveva detto trentacinque, mi era venuta voglia di legargliele al collo quelle bacchettine magiche…».
«Aspetta, aspetta, ripeti che non capito bene» lo interrompo mettendo il viva voce nel silenzio dei riuniti.
«Ti dicevo che abbiamo trovato l’acqua a…» e riparte una risata fragorosa generale.
«Michele, ma cos’è questo casino?».
«Niente, solo che se venivi a trovarmi, te la davamo noi l’acqua. Pensa che nel mio ufficio è arrivata a due metri!».
«No, non ci posso credere. Avevo sentito il Tg, ma non pensavo… Ma stai bene?» chiede preoccupato.
«Tranquillo, tutto a posto. Ti chiamo stasera con calma.».
Ecco. Credo che un domani, quando dell’alluvione non resterà che una riga sporca sul muro, questa riunione sui generis la ricorderò con piacere.
Adesso mi sembra solo un attimo strappato alla disperazione di questa catastrofe.
[i] La cronologia degli eventi è tratta dal sito del Comune di Vicenza.