martedì 10 aprile 2012

Be, have... behave!

Ridendo e scherzando, senza alcuna velleità, la mia mente mi ha messo di fronte ad un aspetto che ho paura faccia parte del mio carattere.
Durante una conversazione in inglese ho avuto difficoltà a trovare il verbo per tradurre "comportarsi"...  quando ormai non serviva più e credevo di essermi già dimenticato di questo dubbio, più precisamente già rilassato a letto, la mia mente se ne esce con un banalissimo "behave"... ma come fai a non ricordarlo! Più facile di così, è la composizione delle due parole più usate in tutte le lingue... essere e avere, to be e to have... ma certo, si sa che l'inglese è concreto, comportarsi cos'è se non un tendere all'essere o all'avere.

Nuda e inesperta come una bambina, la mia mente ha cominciato a filosofeggiare sul legame tra comportarsi, essere ed avere.

Ma certo, dai, pensa a una conversazione. Il tuo comportamento, le tue risposte, saranno sicuramente influenzate da chi e come sei se reagisci spontaneamente, altrettanto si può essere influenzati da quello che si ha o da cosa si vuole ottenere dalla conversazione.

Pensa alla conoscenza, alla cultura fine a se stessa, che ti appaga anche solo a livello mentale, come il piacere di un bel film o dell'ultima pagina di un libro, oppure pensa alla conoscenza come possesso di informazioni, utili per qualsiasi tipo di baratto o forma di marketing di se stessi.

Senza andare su banali diatribe politiche o altrettanto facili buonismi caritatevoli, a me interesserebbe capire come mi comporto, quanto il mio "avere", la mia avidità, la mia ricerca di autorità e ragione, la mia bramosia, il mio amore come oggetto e non come atto di amare influenzino il mio comportamento e mi portino lontano da chi sono, da mio "essere".

Davanti ad un bel fiore, come mi comporto? Sento la necessità di coglierlo per averlo e mostrarlo oppure resto in estatica osservazione per godermi quello spettacolo?

Un amore come lo vivo? In maniera condizionata, con gelosie e senso di possesso, oppure come vero e proprio atto d'amore, lasciando l'altra persona libera di essere e amando quello che è?

Ho letto che la propensione verso l'uno o l'altro dei due comportamenti nasce dentro di noi da neonati in maniera quasi casuale.

Se piangi perché hai fame e la pappa ritarda per futili motivi o piangi perché hai sonno e qualcuno col pretesto di calmarti non la smette di starti addosso, piano piano ti sposti verso l'"avere", verso il desiderare che non viene appagato subito. Nella vita quindi non amerai desiderare a lungo e cercherai di giungere in tempi brevi agli obiettivi e quindi ti coinvolgerai con persone che appagheranno velocemente le tue esigenze. Una volta soddisfatte però cercherai attivamente nuovi possessi, nuovi appagamenti.

Di contro, se la mamma ti porta la pappa quando non hai fame, ti costringe a mangiare, vengono violati i tuoi desideri, ottieni quello che non vuoi. Questo ti porterà ad amare il desiderare più che l'ottenere ed a raggiungere i tuoi obiettivi in tempi più lunghi. Quindi ti coinvolgerai con persone che non appagheranno le tue esigenze, e se verranno soddisfatte cercherai nuove fonti di desiderio in maniera passiva, lasciando che gli altri guidino il gioco per aumentare il desiderio il più possibile.
Ho paura a darmi una risposta anche se so benissimo verso cosa sono più orientato.


Spero davvero sia solo filosofia o psicologia spicciola, un esercizio quasi come la lettura di un oroscopo... perché guardarsi indietro fa male, avanti sempre peggio... non può essere tutto racchiuso in questi schemi, anche se ci guardi dentro e ti ci rivedi... è pura ipocondria...

Io lo so già che esiste qualcosa che mi riempie, che non mi fa sentire incompleto, che fa perdere di significato allla predominanza di desiderio o possesso... tutto sta nel riconoscerlo e nell'accettarlo.

Comunque domani faccio quattro urli alla mia mamma... tutta colpa sua!

Nessun commento:

Posta un commento